12.4.18

ORO ITALIANO? ALL’ESTERO




di Gianni Lannes

Altro che la carta straccia dell'euro acquistato a caro prezzo con il signoraggio dall'ignara popolazione italiana. Chi lo ha alienato, quando e perché? Unitamente alla perduta sovranità dell’Italia, è uno degli argomenti più elusi dai politicanti italidioti dediti alla spartizione di poltrone e prebende, palesemente eterodiretti da interessi speculativi stranieri. Sulla carta, ma solo in teoria è l’oro degli italiani, la quarta riserva aurea del mondo: gran parte di essa però è detenuta negli Stati Uniti d’America, in Svizzera e Inghilterra, custodita nei sotterranei della Federal Reserve, a New York;  ulteriori quote sono vincolate alla nostra partecipazione alla Banca dei Regolamenti Internazionali ed alla BCE, la parte residua, cioè poco meno di due terzi, è conservata a Roma, nei sotterranei della Banca d’Italia. Perché altri Stati controllano il nostro oro, quanto ne posseggono, quando lo hanno acquisito e quando lo restituiranno? Recita un recente comunicato della Banca d’Italia, ormai proprietà di banche private, in particolare a direzione straniera: 

«Le riserve auree italiane ammontano a 2.452 tonnellate - delle quali 4,1 tonnellate sotto forma di moneta (si tratta di 871.713 pezzi di moneta il c.d. "oro monetato") e le rimanenti sotto forma di lingotti - dopo che nel 1999 sono state conferite alla BCE - 141 tonnellate. Presso la Sede della Banca d'Italia in Via Nazionale 91 sono custodite 1.100 tonnellate di oro di proprietà dell'Istituto, comprendenti anche la totalità dell'oro "monetato", insieme a una quota (100 tonnellate) delle riserve conferite alla BCE».



In sostanza, secondo la versione ufficiale delle autorità tricolori: l’oro è della Banca d’Italia, ma non è dello Stato (e quindi dei cittadini), tantomeno dei partecipanti privati al capitale, che sulle riserve non possono vantare alcun diritto. E’ impossibile per la stessa Banca disporre liberamente della riserva dato che la stessa costituisce un presidio fondamentale di garanzia per la fiducia nel sistema Paese. Considerando però che la Banca Nazionale fa parte dell’Eurosistema, anche le riserve ne fanno parte e contemporaneamente garantiscono insieme a quelle degli altri Paesi europei il sistema stesso. In altri termini, la cosiddetta Banca d’Italia ha ceduto i suoi poteri sostanziali alla banca centrale (BCE presieduta non a caso da Mario Draghi).



"Gran parte della sovranità l'abbiamo già persa: non è la Banca d'Italia che fa la politica monetaria, la fa la Bce in tutta l'Europa... E' una cosa che va avanti al di là che il governo ci sia o non ci sia" ha dichiarato il presidente della Banca Mediolanum, Ennio Doris (Il Messaggero, 12 aprile 2018, pagina 9).
 
L’attacco all’Italia decollato nel 1992 dopo l’eliminazione di Giovanni Falcone (maggio) che aveva intituito tutto, l’incontro affaristico sul panfilo Britannia dei Windsor al largo di Civitavecchia (giugno) e poco dopo l’uccisione di Paolo Borsellino (luglio), è finalizzato al furto del suo oro nonché del suo enorme patrimonio ambientale, artistico e archeologico, unitamente alle imprese pubbliche.  Carlo Azeglio Ciampi poco dopo essere diventato capo del governo, il 30 giugno del 1993 nominò un Comitato di consulenza per le privatizzazioni, presieduto da Mario Draghi, uomo Goldman Sachs, non a caso, infine approdato alla presidenza della BCE. Ciampi ha proseguito la svendita del patrimonio italiano iniziata dal socialista Giuliano Amato, braccio destro di Craxi (inspiegabile miracolato dalla magistratura e poi promosso alla Consulta) e dal “lottizzatore” democristiano Romano Prodi.  

La sera di mercoledì 29 gennaio 2014, dopo una movimentata giornata alla Camera - il giorno dell’ormai famosa “tagliola” o “ghigliottina” - l’esautorato Parlamento di onorevoli abusivi ha convertito in legge un decreto legge che riguardava temi diversi: i principali erano la rivalutazione delle quote della Banca d’Italia e l’abolizione della seconda rata dell’IMU. Dell’ipotesi di rivalutare le quote della Banca d’Italia si è parlato con una certa insistenza a partire dai primi di novembre 2013, quando è cominciato a diventare pressante il problema di trovare i soldi per l’abolizione della seconda rata dell’IMU. Alla base di tutto c’è il fatto che il capitale nominale della Banca d’Italia era fino a ieri di soli 156 mila euro: 300 milioni delle vecchie lire che furono versati nel 1936 dagli istituti di credito italiani, allora pubblici. Quegli istituti di credito sono oggi le banche private italiane e una sessantina di loro, insieme a qualche assicurazione e a INAIL e INPS, sono ancora oggi formalmente i proprietari della banca (l’elenco completo e la distribuzione delle quote è qui). A causa di una serie di acquisizioni e cessioni, oltre il 50 per cento delle quote è in mano ai grandi gruppi Intesa e Unicredit.

Quando nel 2009, l’allora ministro dell’economia Tremonti pensò di tassare “una tantum”  le grandi plusvalenze che la Banca d’Italia aveva realizzato sulle riserve auree, la BCE avanzò tutta una serie di obiezioni; tra l’altro Jean Claude Trichet, che presiedeva allora la Banca Centrale Europea, osservò: «Siamo sicuri che l’oro sia della Banca d’Italia, e non del popolo italiano?». Mario Draghi, che allora era governatore, confermò l’assunto: «Le riserve auree appartengono agli italiani, e non a via Nazionale».  

Una volta lo Statuto di Bankitalia specificava all’articolo 1 che «la Banca d’Italia è Istituto di diritto pubblico», ed all’articolo 2 che le sue quote «non possono essere possedute se non da Casse di Risparmio, da Istituti di credito e da banche di diritto pubblico, da Istituti di previdenza (anch’essi pubblici), e da Istituti di assicurazione».  La legge 28 dicembre 2005 numero 262, all’articolo 10  sancisce testualmente: «Con regolamento da adottare ai sensi dell’art.17 della legge 23 agosto 1988 n.400 è ridefinito l’assetto proprietario della Banca d’Italia e sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dall’entrata in vigore della presente legge, delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti diversi dallo Stato o da altri Enti pubblici». Le quote in mano a soggetti privati entro tre anni avrebbero dovuto essere trasferite allo Stato o ad altri Enti pubblici. Di anni da allora ne sono trascorsi 13, ma per quanto riguarda la titolarità delle quote della Banca d’Italia, nulla è cambiato. E’ stata disciplinata, con lo Statuto del 2006, non la proprietà, ma la eventuale cessione delle quote, stabilendo che essa avviene su proposta del Direttorio della Banca d’Italia e previo consenso del suo Consiglio Superiore “nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza dell’Istituto e di una equilibrata distribuzione”.  

Sul portale di Bankitalia si legge: 

«La Banca d'Italia amministra le riserve ufficiali del Paese e, come altre banche centrali nazionali (BCN) dell'Eurosistema, parte di quelle della Banca Centrale Europea (BCE). Le riserve ufficiali contribuiscono a sostenere la credibilità del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e possono essere utilizzate per interventi sul mercato dei cambi; quelle del Paese consentono di adempiere agli impegni dell'Italia nei confronti di organismi finanziari internazionali… La Banca d'Italia detiene e gestisce le riserve nazionali in valuta e oro. L'ordinamento assegna la proprietà delle riserve alla Banca d'Italia; in base all'art. 127 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex art. 105 del TCE), esse costituiscono parte integrante delle riserve dell'Eurosistema, congiuntamente alle riserve delle altre BCN e a quelle di proprietà della BCE. Una quota delle riserve in valuta della BCE, conferite all'avvio della terza fase dell'Unione economica e monetaria da ogni BCN in ragione della "chiave capitale", è gestita dalla Banca d'Italia sulla base di linee guida fissate dal Consiglio Direttivo della BCE».

In punta di diritto, secondo l’autorevole parere del professor Paolo Maddalena, vice presidente  emerito della Corte costituzionale (già presidente di sezione della Corte dei Conti), «questa ingente riserva aurea appartiene unicamente al popolo italiano».
Più della metà dell’oro fisico italiano, non è custodito in Italia. Perché? Davvero vogliamo berci la storiella dell’instabilità socio-economica? E se detto oro fisico, esiste ed è libero da vincoli per quale criminale disegno rimane custodito in mani straniere? L’oro fisico dell’Italia è stato prestato e riprestato nel tempo generando un interesse (gold lease)? Il motivo del prestito sarebbe guadagnare un interesse (sottratto all’Italia che deposita l’oro in maniera infruttifera)?  Una parte consistente dell'oro italiano è conservato "strategicamente" in altre banche all’estero. Proprio un modo carino per dire che ci è stato sequestrato dopo la fine della seconda guerra mondiale per toglierci ulteriore potere di convertibilità?

La Banca d'Italia in questi ultimi anni non ha vigilato sul sistema bancario nazionale, con tutte le conseguenze criminali sotto gli occhi dell’opinione pubblica. Il Belpaese ha perso definitivamente questo immenso capitale strategico per via di un incredibile decreto legge volto a modificare l’assetto dei proprietari della Banca d’Italia, controllata dai più potenti cartelli finanziari operanti all’interno dello Stivale, Intesa-Sanpaolo e Unicredit in primis. Il provvedimento varato dall’esecutivo guidato da Enrico Letta ha stabilito infatti un’enorme concessione agli istituti bancari in attesa degli stress-test comunitari, rappresentata dalla rivalutazione del valore nominale della quota societaria della Banca d’Italia attraverso una ricapitalizzazione gratuita da 156.000 euro (equivalenti ai 300 milioni di lire stabiliti nel 1936) a 7,5 miliardi di euro (legata ufficialmente all’accumulo, capitalizzato nel corso dei decenni dalla stessa Bankitalia, di riserve aggiuntive pari a circa 23 miliardi di euro) da attingere alle riserve della stessa Banca Centrale. In base al decreto legge, è stato attuato un programma di ripartizione del capitale della Banca d’Italia in quote nominative di partecipazione del taglio di 20.000 euro ciascuna, completato il quale verrà introdotto il divieto per ogni azionista di detenere quote superiori al 3 per cento delle azioni. Siccome la partecipazione di Intesa-Sanpaolo e Unicredit al capitale della Banca d’Italia ammonta complessivamente a circa il 60 per cento, si è pensato bene di aiutare tali istituti a piazzare le loro plusvalenze (quantificabili in circa 3 miliardi di euro) risultanti dalla rivalutazione del capitale della Banca Centrale e dalla fissazione del tetto massimo sulle azioni, imponendo la stessa Banca d’Italia come acquirente temporaneo di tutte le quote in eccesso. Banca d’Italia. Infatti: «Al fine di favorire il rispetto dei limiti di partecipazione al proprio capitale, può acquistare temporaneamente [versando a Unicredit e a Intesa-Sanpaolo una cifra complessiva superiore ai 4 miliardi di euro] le proprie quote di partecipazione e stipulare contratti aventi ad oggetto le medesime», recita il decreto. 

Tredici anni fa era stata approvata la legge 28 dicembre 2005, numero 262 (in seguito modificata dal decreto legislativo 29 dicembre 2006, numero 303), mai applicata, che prevedeva la ri-nazionalizzazione della Banca d’Italia con il passaggio del 100 per cento delle quote dai privati allo Stato Italiano, si comprende agevolmente come questa manovra rappresenti in tutta evidenza un colossale “regalo” ai due grandi istituti in questione finalizzato a consolidare il loro potere a favore unicamente dell’“unione bancaria” che rischia di sancire la conquista del comparto bancario “periferico” da parte di quello “centrale”, con l’aggravante che la vendita delle quote legate alla ricapitalizzazione (basata sul nulla) della Banca d’Italia equivale di fatto a una creazione di liquidità che anziché andare a vantaggio dello Stato verrà integralmente incassata da Intesa-Sanpaolo e Unicredit. L’aspetto più distruttivo di questa manovra, che si ricollega al tema centrale dell’oro, è tuttavia rappresentato dal fatto che gli azionisti della Banca d’Italia potranno mettere le mani sulla riserva aurea detenuta da Palazzo Koch.

Il tema delle sovranità è la questione cruciale dell’epoca corrente, anche se la percezione che ne hanno gli italiani è alterata dalle menzogne del sistema politico, economico e mediatico.

  
riferimenti: