31.7.12

MARI ED OCEANI DI PLASTICA


di Gianni Lannes


Dalle fabbriche chimiche alla terra, ai fiumi, ai fondali marini. E’ il viaggio percorso da 130 milioni di tonnellate di plastica - un ammasso grande quanto l’Europa centrale - prodotta ogni anno e rilasciata nell’ambiente, dove si accumula sotto forma di particelle e di fibre più piccoli di un centimetro. Sono corpuscoli microscopici che si formano dalla graduale rottura e abrasione degli oggetti in plastica, vestiti, corde, contenitori. Circa 1000 miliardi di sacchetti di plastica sono fabbricati ogni anno nel mondo. Gli involucri sono costituiti per la maggior parte di polietilene o, più raramente di PP (polipropilene) o di PVC (polivinile cloruro). Queste materie prime derivano al 100 per cento da prodotti petroliferi e non sono biodegradabili. Ci vuole meno di un secondo per fabbricare un sacchetto di plastica che resterà mediamente 20 minuti in mani umane ma impiegherà 450 anni per sparire nella natura. Il tappo di plastica di una bottiglia può navigare per i mari inalterato per più di un secolo. 

Rodi Garganico.

30.7.12

MALATI DI MENTE: MALATI DI NIENTE...

di Gianni Lannes

Di follia si muore nel Belpaese: dal suicidio cruento, all’annientamento invisibile a base di psicofarmaci (più pericolosi delle droghe comuni, ma non sanzionati dal codice penale). E c’è pure chi lucra con i micro manicomi - alla voce cliniche private - in barba alla legge Basaglia del 1978. Chi? La Cir della famiglia De Benedetti: editori del quotidiano La Repubblica, del settimanale L’Espresso e padroni di Radio Capital.
Scosse disumane - «34 anni dopo la legge 180 si viene ancora ricoverati in ospedale psichiatrico e nelle strutture pubbliche e private si fanno tuttora gli elettroshock» rivela lo psichiatra Salvatore Lupo, leader di Psichiatria Democratica. In Italia, infatti, l’elettroshock non è proibito da alcuna legge. Per il Consiglio Superiore di Sanità possono essere sottoposti a terapia elettroconvulsivante, ossia a scariche nel cervello di corrente elettrica alternata fra 100 e 130 volt «pazienti affetti da episodio repressivo e rallentamento psicomotorio (classificazione ICD 10), quando non possono attuarsi terapie farmacologiche, ovvero nei casi di vera ed accertata farmaco-resistenza e nei casi nei quali è controindicato l’uso di psicofarmaci, nei casi documentati di precedenti e gravi effetti collaterali imputabili agli antidepressivi, in pazienti affetti da forme maniacali resistenti alla terapia farmacologia o effetti da sindrome maligna da neurolettici  nei casi di catatonia maligna». Quanto a garanzie il testo specifica: «Nei casi in cui il paziente, in ragione della sua malattia, non sia in grado di esprimere liberamente il proprio assenso, il trattamento può essere praticato con il consenso del tutore legale e tramite la procedura del Tso». Al riguardo la letteratura scientifica ben documenta gli effetti collaterali:  amnesia, deficit cognitivo, lesioni cerebrali, ipertensione cronica, emorragia endocranica, infarto miocardico, distacco retinico, malattie degenerative dell’apparato osteo articolare, stati confusionali. Perché si ripropone la Tec? Semplice: è altamente lucrativa e non sporca le mani dell’industria sanitaria. Eppure è in vigore una circolare del ministero della Sanità che recita: «L’elettroshock si può fare in un unico caso - peraltro rarissimo - di depressione resistente a tutti i farmaci».

27.7.12

ILVA: SOLUZIONE ALL’ITALIANA


di Gianni Lannes

Le autorità statali, regionali, provinciali e comunali hanno occultato la situazione per mezzo secolo sulla pelle dei tarantini, ma alla fine una pur minima resa dei conti è arrivata. La Procura della Repubblica di Taranto ha ristabilito la verità. I Riva - padroni dell’Ilva - che hanno incamerato profitti stellari e reso gli operai carne da macello, devono rispondere davanti a un tribunale di disastro ambientale e, se la tesi dei periti verrà confermata, di morti e malattie diffuse sul territorio. «Chi gestisce l’Ilva ha svolto attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza». Scrive così nell’ordinanza il gip Patrizia Todisco che ordina il sequestro di 6 reparti dello stabilimento. Secondo il giudice, c'è stata una «totale noncuranza dei gravissimi danni alla salute e all'ambiente». Per questo 8 indagati, tra cui il pluripregiudicato Emilio Riva, nonché suo figlio Nicola, sono finiti agli arresti domiciliari.

26.7.12

LIBIA: IL LEONE DEL DESERTO

di Gianni Lannes

Ecco la storia di un genocidio di marca italiana dimenticato o ignoto ai più. Il 16 settembre 1931, Omar al-Mukhtar, il “leone del deserto”, capo dei partigiani che si battevano contro i militari “brava gente” in Libia fu fatto impiccare dal “benemerito” generale Rodolfo Graziani. Terminava così una lotta per la libertà e l’indipendenza che durava dal 1912. L’esercito fascista pur di avere ragione della resistenza libica, non solo non esitò ad usare i bombardamenti aerei a base di gas proibiti dalla Convenzione di Ginevra del 1925 (soprattutto iprite) sulla popolazione inerme, ma adottò anche la soluzione finale della deportazione in campi di concentramento. In centomila furono strappati dai loro villaggi e dalle loro case. In quarantamila morirono di stenti.

25.7.12

DUE FINANZIERI AMMAZZATI
DALLO STATO ITALIANO

Agusta a 109.

di Gianni Lannes

La verità è prigioniera di un silenzio assordante. Due marzo 1994: serata di stelle lucenti e di vento che accarezza le nuvole sommerse. «Volpe 132 a Elmas, mi sentite? Passo». «Avanti Volpe 132, vi sentiamo forte e chiaro. Qual è la vostra posizione?». «Sorvoliamo Capo Carbonara, fra qualche istante saremo sull’obiettivo a Capo Ferrato». «Volpe 132, quale obiettivo?». «Volpe 132, mi sentite? Passo. Volpe 132, mi sentite? Qual è la vostra posizione?».  Alle ore 19.15 l’elicottero  - in missione perlustrativa - mantiene l’ultimo contatto radio; alle 19.18 scompare dagli schermi radar. Per oltre 40 minuti c’è un silenzio ingiustificato della base operativa delle Fiamme Gialle di Cagliari. L’Agusta A 109 decolla dalla base aerea di Elmas alle ore 18,44. Dopo circa 25 minuti, il velivolo, nel rispetto del piano di volo, compie una virata di avvistamento a 360 gradi contattando la centrale operativa e riferendo di aver individuato una nave sospetta, possibile obiettivo. Le condizioni meteomarine sono buone; il supporto via mare è fornito dalla motovedetta “Colombina”. Dopo Serpentara la “G. 63” stranamente cambia rotta per puntare su Capo Ferrato. Gli uomini della motovedetta inizialmente dichiarano di aver perso l’elicottero su Serpentara, salvo poi confermare quel che i tracciati testimoniano inequivocabilmente. Quando sparisce dal radar l’elicottero è proprio sulla motovedetta, così basso che ne leggono le insegne, ma poi ognuno prosegue per conto suo. Fatto sta che l’elicottero scompare, non vengono mai recuperati i corpi dei piloti - Gianfranco Deriu (41 anni) e Fabrizio Sedda (28 anni) - né il relitto, a parte alcuni rottami sospetti. L’inchiesta della Procura della Repubblica di Cagliari - archiviata e riaperta a più riprese - affidata al magistrato Guido Pani, è ancora in corso, ma sembra impantanata in un vicolo cieco, nonostante le schiaccianti evidenze e i depistaggi dei servizi segreti nostrani (alla voce ex Sismi). Le indagini del G.I Mauro Mura e del P.M. Guido Pani, vertono sull’accusa di “disastro aviatorio” e di “omicidio colposo plurimo”. Le perizie effettuate dai carabinieri del Ris subiscono però diversi rallentamenti nel corso delle indagini, per accertare se sui rottami del velivolo ci fossero tracce di esplosivo. «La risposta del Ris non è mai arrivata», dichiara Carmelo Fenudi, l’avvocato delle parti civili Deriu e Sedda. «L’accertamento se ci fosse stata traccia di esplosivo o di altro materiale che potesse far pensare all’abbattimento dell’elicottero sarebbe stata importante per trasformare l’accusa da omicidio colposo plurimo a duplice omicidio volontario, che prevede l’ergastolo e l’imprescrittibilità del reato - puntualizza il legale - Da parte del Ris sono arrivate solo due richieste di proroghe di 30 giorni: la prima avvenuta il 19 maggio 2005 e la seconda il 18 agosto dello stesso anno. Appare pertanto non giustificata una richiesta di archiviazione fondata sul fatto che, ancora oggi, la consulenza tecnica non sia stata ancora espletata e depositata».

24.7.12

LAGHI IN FIN DI VITA

Lago di Garda.

di Gianni Lannes

Scarichi fognari e industriali, siccità, prelievi idrici, cementificazione delle coste. Il sistema lacustre nazionale è allo stremo. Dulcis in fundo: bombe Nato mai bonificate. A vederli dall’alto non si direbbe. I laghi italiani sembrano luoghi da cartolina, eppure soffrono e alcuni sono addirittura in fin di vita. «Il problema dell’eutrofizzazione è comune alla gran parte dei bacini lacustri italiani - spiega Letizia Garibaldi, biologa, ricercatrice del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’università di Milano Bicocca - uno dei casi più gravi è quello del lago d’Iseo: non ha adeguati sistemi di depurazione e quelli costruiti non sono mai entrati in funzione. Soffre inoltre di una grave forma di anossia nelle acque profonde, cioè manca l’ossigeno». E’ la presenza eccessiva di fosforo nelle acque a determinare l’iperproduzione di alghe, soprattutto nei medi e grandi bacini del Nord. La causa è la pressione antropica: la presenza dell’uomo che con gli scarichi aumenta la concentrazione di fosforo nelle acque. Il fenomeno è fin troppo evidente nei bacini lombardi: Iseo, Idro, i laghi mantovani, il lago di Varese e quello di Pusiano. Molti altri specchi d’acqua dolce devono vedersela con l’abbassamento dei livelli per siccità, che colpisce in particolare i laghi del centro Italia. Emergono poi i problemi legati agli eccessivi prelievi d’acqua per uso agricolo, la speculazione edilizia sulle coste - rilevante sul Garda - e il fenomeno delle cave selvagge che devastano irrimediabilmente il paesaggio. Quello lacustre è un patrimonio ambientale strategico, ma per avere il primo catasto dei laghi italiani si è dovuto attendere l’inizio degli anni ’70.
Lago di Varano.

16.7.12

ITALIA LIBERATA


di Gianni Lannes

In un Paese affondato nelle sabbie mobili degli interessi privati e personali, nelle meschine convenienze di ciascuno, dirsi tutto è il primo passo per costruire il futuro. Dirsi tutto, sì. Sono radicale, sempre. Essere radicali vuol dire andare alla radice delle cose. E alla radice di ogni cosa c’è l’essere umano.

Non sono un eroe. Ho imparato sulla mia pelle a vivere come se dovessi morire subito e a pensare come se non dovessi morire mai. Ma non ho il diritto di barattare la sicurezza della mia famiglia per uno scoop giornalistico. E che dire del silenzio generale e della solitudine con cui sono stato circondato?